L’art. 572 c.p. punisce la reiterazione abituale di comportamenti lesivi dell’integrità fisica e/o morale, della libertà o del decoro della vittima. Il delitto di “maltrattamenti in famiglia” è un delitto c.d. proprio dal momento che può essere commesso solo dal familiare o dal soggetto che sia comunque legato alla vittima da una relazione di “familiarità”.E’ ormai pacifico che nel concetto di famiglia appena richiamato, debba essere ricompresa anche la convivenza more uxorio, nonché “qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale».
Permanevano però dubbi interpretativi relativamente a condotte penalmente rilevanti poste in essere in un momento successivo rispetto alla cessazione della convivenza.
Per quanto riguarda la famiglia c.d. tradizionale, fondata sul matrimonio, la Giurisprudenza ritiene pacificamente applicabile l’art. 572 c.p. alla posizione del coniuge separato, mentre a seguito del divorzio eventuali condotte penalmente rilevanti risulteranno riconducibili al dettato dell’art. 612 bis c.p., rubricato “atti persecutori”, soluzione cui si giunge per effetto del venir meno dei doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale.
Riguardo la fine di una convivenza di fatto, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che il compimento di continui atti di vessazione nei confronti dell’ex convivente rimane sussumibile nella più grave fattispecie di cui all’art.572 c.p. qualora, anche dopo la cessazione della convivenza stessa, permanga tra l’imputato e la vittima una necessità di relazione motivata dall’adempimento dei doveri verso prole nata dalla convivenza.
Avv. Alessandro Calogiuri
-Cass. Sez. VI Pen. Sent. n. 52723/17 dep. 20 novembre 2017