La Corte di Cassazione, decidendo un caso relativo all’annosa, e tipicamente italica, questione di soggetti che omettono di dichiarare la morte del parente, o ne dichiarano falsamente la permanenza in vita, al fine di continuare a percepire il relativo trattamento pensionistico, si occupa nuovamente di stabilire e concretizzare i criteri risolutivi del conflitto apparente di norme che interessa la fattispecie di “indebita percezione di erogazioni a danno dello stato” prevista dall’art. 316 ter c.p. e quella, ben più grave, di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” di cui all’art. 640 bis c.p.
La Corte concentrando il focus della propria analisi sulle caratteristiche della condotta posta in essere dal soggetto agente ritiene che il meno grave delitto di “indebita percezione di erogazioni a danno dello stato”, secondo il quale è punito “…chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dall’ Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee…”, è ravvisabile nell’ipotesi in cui la pensione di titolarità del soggetto deceduto venga percepita da soggetto non legittimato in conseguenza di una condotta meramente omissiva (ad es. il soggetto in vita, cointestatario di conto corrente insieme al pensionato, che omette di comunicarne la dipartita all’ente previdenziale) o di una condotta attiva che comunque non vada ad intaccare l’attività di accertamento dell’ente inducendolo in errore, in quanto l’ente è chiamato unicamente ad attestare l’esistenza della formale attestazione senza verificarne il contenuto (ad es. la produzione di una falsa autocertificazione in ipotesi in cui l’ente sia chiamato a prendere meramente atto senza compiere alcuna autonoma attività di accertamento).
Diversamente, per ritenersi sussistente il delitto p. e p. dall’ art. 640 bis c.p. (“Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”) dovrà individuarsi l’ulteriore requisito dell’induzione in errore della amministrazione, che dovrà concretizzarsi in una condotta attiva (i c.d. “…artifizi e raggiri…”) idonea a incidere sull’attività di verifica e valutazione cui è chiamato l’ente erogatore.
Nel caso di specie la Corte ha ritenuto doversi individuare la più grave fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p. nella condotta di un soggetto che, nonostante la dipartita del legittimo beneficiario, si presenti a riscuotere la pensione in qualità di delegato dello stesso, sottoponendosi quindi ad una identificazione da parte dell’ente e dichiarando falsamente la permanenza in vita del proprio congiunto.
In tale ipotesi la complessa condotta posta in essere (falsa dichiarazione e falsificazione della documentazione) è stata ritenuta idonea a sviare l’attività di accertamento cui era chiamato l’ente, tenuto non solo a prendere meramente atto di quanto dichiarato ma anche a verificarne la verità, inducendolo così in errore, condizione che è elemento costitutivo del delitto di truffa.
In conclusione, deve ormai ritenersi ben chiaro il confine tra le fattispecie di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p., ossia la sussistenza di una induzione in errore dell’ente pubblico attuata per mezzo di artifizi o raggiri, elemento che presuppone che l’ente sia chiamato a porre in essere una effettiva ed autonoma attività di accertamento, in assenza della quale dovrà ritenersi integrata esclusivamente la più lieve fattispecie di indebita percezione.
Avv. Alessandro Calogiuri
– Cass. Sez. II Pen. Sent. n. 40260/17; dep. 05/09/2017