Si condivide l’articolo pubblicato sul sito di informazione giuridica “Juris Tech“, che nasce per raccontare i nuovi scenari del diritto applicato al mondo digitale e alle nuove tecnologie, con il quale lo Studio Legale Calogiuri ha il piacere di collaborare.
- Revenge Porn, “Doppio standard” e nuove frontiere di tutela
La scena politica USA è stata scossa dallo “scandalo” che ha coinvolto la senatrice Katie Hill (LINK), costretta a dimettersi a causa della diffusione e successiva pubblicazione di foto che la ritraevano in momenti intimi e assolutamente privati.
A prescindere dal peso politico della vicenda, quanto accaduto spinge l’osservatore a rilevare che, nonostante la tendenza sociale e normativa sia diretta verso una parificazione sostanziale dei sessi, nella valutazione di condotte sessualmente qualificate sussiste ancora prepotente quello che Katie Hill ha definito un “doppio standard”, rappresentativo di una opinione pubblica ancora fondata su un sistema prospettico di stampo misogino e maschilista.
Tale distorsione prospettica fa sì che sia la condotta di vita della donna-vittima ad essere passata al microscopio in cerca di colpe e concorsi di responsabilità.
Troppo spesso sono infatti le vittime a soffrire conseguenze dal punto di vista reputazionale e a doversi giustificare per condotte poste in essere in un ambito che doveva rimanere assolutamente privato.
Condotte da cui è difficile proteggersi perché nella quasi totalità dei casi vengono poste in essere con modalità telematiche, insidiose e difficilmente fronteggiabili. Tali aggressioni si riverberano nel fenomeno del c.d. “Revenge porn”.
L’attenzione non può più restare focalizzata sulla accettabilità delle condotte illecitamente diffuse, costringendo così la vittima a doversi giustificare, ma l’antigiuridicità ed il giudizio di riprovevolezza sociale devono necessariamente essere spostati esclusivamente sulla condotta di illecita diffusione di materiale originariamente destinato a rimanere assolutamente privato
1. Il nuovo art. 612 ter c.p.
Il nostro ordinamento di fronte a tali condotte appariva sguarnito; le norme incriminatrici in merito di trattamento dei dati personali sono infatti fin troppo miti per produrre un effetto deterrente ed anche le altre norme incriminatrici richiamabili (estorsione, diffamazione, stalking, interferenze illecite nella vita privata…), pur idonee a disciplinare la condotta di cui si tratta, non sono state strutturate per fornire una tutela ad hoc di fronte ad un bene giuridico che, anche per effetto del continuo avanzamento delle nuove tecnologie, si presta quotidianamente a nuove forme di aggressione.
Questo sino alla L. 69/2019 (c.d. codice rosso) che al suo art. 10 ha previsto l’introduzione nel codice penale di un nuovo art. 612 ter rubricato “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, in applicazione del quale “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito..”
Con tale norma il legislatore ha tentato di estendere al massimo la tutela in quanto ad essere incriminata, a titolo di dolo generico, dal primo comma della norma è la pura e semplice diffusione non consensuale dei suddetti supporti multimediali, indipendentemente da qualsiasi finalità ulteriore perseguita dal soggetto agente.
Il tentativo socialmente evolutivo della suddetta fattispecie risulta evidente, l’illiceità della diffusione non nasce tanto dal tipo di materiale che viene diffuso ma, soprattutto, dalla mancanza di un valido consenso in tal senso. Il focus normativo si pone pertanto sul necessario rispetto della volontà della persona offesa a che tale materiale rimanga privato.
Il disvalore è infatti stato posto dal legislatore integralmente sulla condotta di chi non rispetti l’altrui dissenso; dissenso che non dovrà essere necessariamente esplicito, essendo sufficiente che la diffusione avvenga senza che il soggetto ritratto abbia acconsentito. Pertanto dovrebbe ritenersi idoneo ad integrare il suddetto requisito il fatto che la diffusione sia avvenuta all’insaputa del soggetto raffigurato.
Il comma secondo dell’art 612 ter c.p. estende poi la punibilità anche a soggetti terzi rispetto alla coppia che siano venuti comunque in possesso del materiale di cui si tratta e che a loro volta lo diffondono al fine di recare nocumento alle persone rappresentate. In tal caso la mente corre subito a quei gruppi social dove si assiste ad un continuo inoltro di immagini a contenuto sessualmente esplicito che vengono poi ri-diffuse a macchia d’olio, ma la previsione di un dolo specifico renderà essenziale interrogarsi sul significato da attribuire alla predetta finalità di nocumento per delimitare il confine del penalmente rilevante.
La norma si chiude con la previsione di circostanze aggravanti e previsioni sulla procedibilità. Di particolare interesse risulta essere il comma 3 che, oltre a punire più gravemente quelle condotte poste in essere nell’ambito di una relazione sentimentale, si concentra sull’utilizzo di strumenti informatici o telematici (nozione all’interno del quale rientra pienamente la diffusione a mezzo social network). La ratio di tale aggravamento si rinviene nella maggiore diffusività di tali strumenti e nella difficile (se non impossibile) eliminabilità delle conseguenze del reato se posto in essere on line.
2. Le nuove frontiere di tutela (I.A. e machine Learning)
Facebook si propone di rilevare in anticipo tali contenuti diffusi su Facebook o Instagram utilizzando l’intelligenza artificiale ed il macchine learning.
Questo potrebbe significare l’individuazione del contenuto ancor prima che qualcuno lo segnali, spiega Antigone Davis, responsabile globale della sicurezza di Facebook. Secondo tale procedura i soggetti che sospettano di essere vittima di revenge-porn potranno inviare, tramite un apposito sistema di reporting, una propria foto al social network e così facendo l’intelligenza artificiale si attiverà per trovare eventuali contenuti sessualmente orientati. Tale procedura è già stata testata negli Stati Uniti e nei prossimi mesi dovrebbe essere progressivamente esteso a livello globale.
In conclusione, possiamo affermare che il “doppio standard” di valutazione è purtroppo ancora una realtà, troppo spesso assistiamo a giudizi che invece di criminalizzare la condotta del soggetto-agente si spingono ad analizzare in maniera morbosa i comportamenti della vittima. La tendenza normativa è correttamente indirizzata nel senso di un suo superamento, che deve però essere sostenuto da una nuova coscienza sociale che stigmatizzi qualunque violazione non autorizzata della sfera privata, a prescindere dai contenuti della stessa.
Avv. Alessandro Calogiuri