Larga parte del nostro tempo e delle nostre giornate le passiamo dietro il volante e, spesso, l’autovettura diviene strumento, o pretesto, di condotte che rischiano di veder riverberare le proprie conseguenze in ambito penale.
In tale ambito sempre più frequenti sono i fenomeni di c.d. “road rage”, ossia il dare sfogo ai più reconditi istinti dell’animo umano perché mossi dall’aver subito soprusi, o presunti tali, mentre ci si trova alla guida.
La Giurisprudenza si è ultimamente trovata a dover analizzare tale fenomeno nel tentativo di delineare gli stretti confini in cui condotte di ostruzionismo automobilistico possono arrivare ad integrare il delitto di “Violenza Privata” p. e p. ex art. 610 c.p.
Prima di scendere nel dettaglio è opportuno tratteggiare i canoni che identificano la suddetta fattispecie incriminatrice.
L’art. 610 c.p. sancisce che “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a quattro anni…” pertanto, per ritenere integrato il suddetto illecito il soggetto attivo della condotta dovrà porre in essere, sul piano oggettivo, l’esercizio di una violenza fisica o morale o la prospettazione di un male ingiusto da lui dipendente teso a costringere il soggetto passivo della condotta, la persona offesa, a fare, tollerare od omettere una condotta determinata.
Tale ultimo elemento risulta di fondamentale importanza posto che in assenza di tale requisito finalistico (..costringe altri a..) non si potrebbe parlare di Violenza Privata ma dovrebbe analizzarsi la possibile integrazione dei singoli reati di minaccia, molestia o percosse.
Pertanto è essenziale che la condotta violenta o minacciosa posta in essere abbia determinato una situazione di costrizione ingiusta che determini la perdita o la significativa compressione della capacità di autodeterminazione o di movimento del soggetto passivo.
Chiarita la fattispecie di cui stiamo parlando cerchiamo ora di capire se, e a quali condizioni, ostacolare un’altra autovettura con la propria possa essere punibile ai sensi dell’art. 610 c.p.
La Giurisprudenza di fine 2017 ed inizio 2018 ha offerto plurime pronunce sul punto, osservando la situazione da differenti prospettive.
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 53978/17 ha chiarito che la condotta di un soggetto che, durante una discussione, parcheggi la propria autovettura talmente vicina a quella del suo interlocutore così da impedirne la discesa dalla sua portiera e costringendolo a scendere dal lato passeggero deve essere ritenuta condotta integrante atti di “Violenza Privata”.
Conclusione motivata dal fatto che tale comportamento è stato ritenuto concretamente idoneo ad integrare quella violenza idonea a condizionare pesantemente la libertà di autodeterminazione e movimento della persona offesa che, come detto, è richiesta dalla norma incriminatrice in commento, posto che la “violenza” deve essere individuata in “qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offesa della libertà di determinazione e di azione”.
Il parcheggiare con l’evidente volontà di impedire la discesa del guidatore non va però confuso con la, ben più comune condotta, del parcheggiare rendendo volontariamente, per ripicca, difficoltosa la manovra all’auto del vicino di parcheggio.
La Suprema Corte si è trovata a dover interpretare proprio tale fattispecie e con la sentenza n. 1912/18 ha chiarito come tale ultima condotta, seppur censurabile, non è ritenuta idonea ad integrare gli elementi costitutivi dell’art. 610 c.p., questo perché il rendere difficoltosa la manovra non è condotta che impedisce categoricamente il transito dell’auto lesa e, pertanto, la mera difficoltà di manovra non è idonea ad integrare quella violenza diretta a costringere che è richiesta per parlare di violenza privata posto che non determina alcun impedimento assoluto.
È invece evidente la punibilità di un soggetto che volontariamente occupi la sede stradale con la propria autovettura impedendo così ad un altro veicolo di ripartire.
Lo hanno statuito gli Ermellini nella pronuncia n. 5358/18 chiarendo come “il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica o di riprendere la marcia» deve ritenersi sufficiente ai fini dell’integrazione del delitto di «violenza privata».
Avv. Alessandro Calogiuri
– Cass. sez. V Pen., sentenza n. 53978/17 dep. 30.11.2017
– Cass. sez. V Pen., sentenza n. 1912/18 dep. 17.1.2018
– Cass. sez. V Pen., sentenza n. 5358/18 dep. 5.2.2018